Premio Letterario La Ginestra di Firenze – sezione poesia edita: 3° Premio.
PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA LETTERATURA ARTEvisuale – Isola D’Elba
ASCOLTANDO I SILENZI DEL MARE
Quinta Edizione – sezione poesia edita: 3° Premio.
1.
Io avevo paura del buio
Quando il topo trottava
Nel soffitto vuoto e
La stanza odorava
Di grappolo d’uva
E di serti di mele.
Io avevo paura del vento
Quando forte sibilava
Tra vicoli e fessure
E il gatto agguantava il topo
In fondo all’angolo scuro.
Dicevo allora alla mia anima:
Taci, e attendi senza speranza
Così il buio sarà la luce
E la quiete il vento
Senza più gatto né topo.
Ma è passata.
Oggi, so la solitudine del grido
E dove fiorisce l’asfodelo.
2.
E poi sei venuta tu,
Bimba vestita di Sole
Che guardi nella direzione del vento,
Anemone infinita.
3. Tenerezza
Tra
Lo stupore
E
Lo schianto
Un’assolata
Striscia
Di tenerezza
4.
Come il mare io ti parlo
Come la Luna tu m’ascolti
Fragranza di cielo
Fragranza di terra
Iridescente conchiglia del cuore
5.
Stupefatta la notte entrava nel giorno e
Il giorno entrava nella notte – stupefatta
Con l’urlo congelato alla gola.
Destati, amore: è l’ora.
Viviamo questo tempo che non è
Né il giorno né la notte,
Ma quello del sogno e della conoscenza.
6.
Di astro in astro
Per sempre noi vivremo
Sterminata eco
Di un bacio infinito.
7. Poema
Noi, ventose colline,
Noi sappiamo
Di essere mortali,
Ma vegliamo su di voi,
Tra fiori di ginestra
E gigli di campo.
Noi vedemmo
La zappa e il bidente,
La spiga e le foglie,
La bomba e il fucile,
La bisaccia e la conca,
Il fardello e l’orcio
Tra soli roventi,
E attonite lune.
Noi odorammo
Il cardo e il ciclamino,
L’anemone e la genziana,
Le bacche e il cipresso,
Il papavero e il rosmarino,
Il basilico e il garofano,
Tra celesti vedovelle,
E primule di prati.
Noi udimmo
Il nibbio e la rana,
La chioccia e il picchio,
La serpe e il falco,
Il ciuco e la civetta,
La capra e il passero,
Tra stridii di grilli
E splendori di lucciole.
Noi gustammo
L’uva e la percoca,
La cipolla e il grano,
Il cacio e il verme,
La persica e l’oliva,
La fragola e il crespigno,
Tra effluvi di ciliegio
E candori d’amareno.
Noi toccammo
Il granchio e la rana,
Lo stagno e il torrente,
Il baco e la mela
la tela e il ragno,
Il lino e il gelso,
Tra mani di Sole
E volti di Luna.
Noi fummo questo,
E fummo umane,
fra umani.
Ma voi,
Voi che correte nella direzione del vento,
Voi siete un’altra storia,
Non più umana,
Dove tutto
È
Superficie,
Istante,
Dissipazione,
Tra asfodeli di morte
E còlchici d’abisso.
8.
Sei venuta di maggio,
Viso di primavera.
Splendore e incanto,
Intemporale aurora.
9.
Ascolta Vespero,
Quando arriva
Nottola,
E tu
Le palpebre chiudi,
Come di notte
Le margherite.
10. Ricordanze
Io ricordo
Un velo di merletto nero
E le folate di aghi di ghiaccio
Sulla collina di neve
E lungo i filari scuri del cipresso.
Un’agonia senza tempo
Di un sogno finito.
Resta la polvere.
Ma polvere umana,
Tra bossi odorati
E ineffabili ricordanze
Di mani ricamate di trine.
(Il mio canto di te
è un ritornello a bocca chiusa.)
11.
Il fiume torna alla sua sorgente,
L’aquila al suo nido,
E io nel tuo grembo,
Madre,
Interminata trasparenza
E sguardo finito.
Tu sei
Principio e fine,
Sorgente e foce,
Radice e corona,
Compiutezza d’argilla
E pienezza di stelle.
12. Filomena
Tu non eri come noi,
Che non sappiamo più nulla
Dello splendore del crisantemo
O del candore del geranio rosso.
Tu amavi lo scintillio del mare,
Perché sentivi
Lo stupore del tuo respiro terrestre
Mentre noi
– Immondi –
Non sappiamo più nulla
Della fragranza delle nostre mani ignude
E dell’incanto dei nostri occhi di perla.
Tu non eri come noi,
Perché eri limite
E conoscevi
Il rovinio dell’onda sulla roccia;
Mentre noi
– Assurdi –
Non sappiamo più nulla
Dei confini dell’inumano
E degli atroci sconfinamenti
Del nostro fetido orgoglio.
Oh mamma
Nulla è stato invano
Tutto è stato fatto
Per amore della conoscenza
E per questa mitezza infinita
Delle creature che
Con te
Con noi
Sempre vivranno
Mirabili laudi
della Terra e del Cielo
13. A mio padre
Né più mai saprai
L’odore verde del rosmarino,
Il sapore giallo della vite,
La brezza azzurra del mare.
Né più mai dirai
Versi di volo e
Di frante primavere.
Né più mai coglierai
Assolate asparagine,
Abbrunati pungitopo
O ferrigne lumache.
Eppure io vedo la tua voce
E ascolto il tuo sguardo,
Addossato a questa collina,
Dove sussurrano gli ulivi
E odora la ginestra.
14. Gigetta
Ora ti carezzano
Le cose che ti somigliano:
La mitezza verde degli ulivi
E la dolcezza azzurra del mare.
Ora ti cullano
L’incanto viola delle mammole
E la terra
Sapor mandarino.
15. Nostalgie
Là dove
Un tempo
Odorava
L’oleandro
Rosso,
Ora
Fiorisce
Il granoturco
Dorato.
E
Soffia
Libero
Il vento.
Nato
In nessun luogo,
La mia casa
È
In ogni dove.
16. Telefonini
La mia fine
È qui
Ora
Che non posso più
Ascoltare il tuo respiro
E parlo con
L’inerte
E
La polvere
Senza più stelle
Né
Vento tra i tuoi capelli
17. Vetro-metallo mobile
Tutti dicono che l’epoca glaciale è passata,
Ma non è vero:
Sei tu – vetro-metallo mobile – il ghiaccio.
18. I traditori
Il Mediterraneo è il mio mare,
Il mare degli oppressi.
Echi di lutto senza tempo,
Echi d’orrore infinito,
Senza più papiro né scriba che li ricordi,
Né tracce di polvere che rivelino
Il pudore del silenzio.
E tu,
Viso cagnazzo,
Tu sei distratto.
Tu non vedi,
Come Aristippo,
Figure geometriche sulla riva.
Tu vedi solo
Corvi tra campi di grano,
E sai la tua fine,
Dov’è
Caino,
Degli umani
Il traditore.
19.
L’orrore
È
Qui,
Ora.
In questa continua dimenticanza
Dei nostri sguardi marini,
Delle nostre mani d’argilla,
Dei nostri passi leggeri,
Dei nostri colori d’oliva,
Dei nostri odori di cedro,
Dei nostri sapori d’umano.
Della favola bella
Che noi,
Creature terrestri,
Con te narrammo,
Straziante,
Mirabile
Conchiglia del cielo.
20. Sconfitta
La sconfitta è questa:
Di noi,
Umani,
Sopravvivrà la vergogna;
Di voi,
In-umani,
Il rodio del sorcio.
21. Variazioni
Io sono il mio presente:
Un frantume di fuoco che si perde nella notte.
Io sono il mio presente:
Il sogno di un’ombra.
22. Altrove
Altrove – non qui –
Parleremo il linguaggio dei fiori
Comprenderemo le voci di tutti gli esseri
Della terra e del cielo
Percepiremo gli echi degli astri
Senza più confini né tempo
Come luce pura
Negli spazi infiniti
Natura nella natura
23. I cannibali
Ciò che il melograno disse alla magnolia:
Fame di vento
È la tua immagine chiara.
Ciò che la magnolia disse al melograno:
Fame di fuoco
È la tua linfa scura.
Ciò che disse il vento:
Sete di fuoco
È la tua dissolvenza.
Ciò che disse il fuoco:
Sete di vento
È la tua trasparenza.
Fuoco.
Vento.
Ora lo sai:
Anche la desolazione ha la sua fine.
24. Agonie
Il tempo,
Che tutto consuma,
Corroderà anche queste rovine.
Tutto,
Anche il vento che le traversa,
Sarà consumato.
Resterà solo
Un irreale terrore:
Un silenzio nudo.
25. Agonie
Noi siamo nel vicolo dei sorci,
Dove abita Squallore.
Eppure,
Se c’interroghi,
Ti diciamo che non è Squallore che ci opprime,
Ma questa grancassa di denti
Che ci rodono le ossa.
26. Agonie
Ovunque
Volgi lo sguardo,
Gli orizzonti si chiudono.
Tu sei solo,
Accanto al tuo respiro.
27. Agonie
L’inverno terribile dei sogni,
Lungo il viale dei platani.
Come siamo nudi –
Noi –
La nostra immagine –
Se non c’è passione o spazio.
28.
Una lama di fuoco
Incendia
I confini del cielo.
Tu esisti
In ardore.
29. L’anima e il mare
Dentro
Vetri di luce, frantumi di conchiglie
Il grido bianco del mare
M’abbaglia e sale invisibile
A ferire la mia anima di sabbia.
I volti dei miei scogli
Nascono nel miracolo del vento
E annegati nei metalli del mare
– Ora che barche vanno alla deriva –
Scendono nel freddo e camminano nei gorghi.
Vado su chitarre d’acqua
– Dove gli uomini imparano a perdere –
E il grido bianco del gabbiano
Mi squarcia il sentimento in fuga
E mi svela il mistero delle sabbie.
(Scogli, vetri, conchiglie – bianche
– sono impazzito della morte del mare
– bianca di sale).
30.
Fuoco di vento
Vento di fuoco
Vento
Fuoco
E niente acqua
Acqua
Solo
Roccia
Interminata roccia
Altissima quiete
Qui ora sempre
31.
Contro l’orrore
In te mi dissolvo
Chiarità essenziale
32.
Eccoci qui,
Mare,
Ancora soli.
Tra nubi che corrono
E gabbiani in controvento.
Senza più risacche
Né belle primavere.
Che altro,
Allora,
Se non fuggire via,
Cancellando gli addii?
Bisogna saper uscire dal Tempo.
(Dal grido dell’onda, dal grido del vento, dalla distesa d’acqua.)
33.
La brezza del vento
È passata in fretta
Sui gorghi del mare
E sul greto
Dove i suoi cespi sparge
L’odorata ginestra.
Tu guardi verso la notte.
Ma cosa resta?
Un fiore caduto nella corrente?
Una gemma senza stelo?
Un amaro silenzio?
Già i tuoi piedi sono sabbia,
Le tue mani aghi di cedro,
I tuoi occhi gusci duri di crostaceo.
Ci sono i colombi,
Ma non c’è il mattino,
Né più l’eco che torna.
34.
Il cuore corre
Dietro il suo sangue.
Lo senti?
È la tenerezza
Che dà coraggio,
Non lo spavento.
Noi ce ne andiamo
Come siamo venuti,
Stranieri
A quest’aer perso
d’Iddii pestilenziali.
35. Tu
Allora è vero,
Tu mi aspetterai,
Aspetterai ch’io sparga tutti i semi di grano
Che stipammo nel baule del tempo,
Tra steli riarsi di stoppia
E mele cotogne odorose.
Aspetterai
Ch’io ascenda quest’assolato pendio
Dove s’inerpica la lenta ginestra
E s’indora la bella melagrana che ti somiglia,
Tra ciani cilestri
E vortici di rondini festose.
Mi aspetterai
Oltre la siepe di rovi e more,
Dall’altra parte della vita,
Nel paese che sognano i gatti
Quando con te si accoccolano
Pieni zeppi di fusa.
(Le nostre mani
sono ancore lanciate
verso l’abisso del cielo.)
36. Noi
Contro la notte
Questa notte
I nostri corpi
Come serti di rose
Solcano gli orizzonti in fuga
Verso un’altra intensità
M I T I
(1964-1980)
TEMPO PRIMO
I
La primavera è fatta di angeli che vanno al di là delle stagioni,
i campi lo sanno. Io vengo dalla primavera
in un giorno qualunque a dirti: ciò che cerchi
è in te, o figlio, la luce, e non l’ombra, solo la luce. In te
sbocciano le mie labbra profumate di canto e per te
conosco la fine del mare e delle cose
che muoiono come un giorno che non vedo sul tuo volto. I fiori
se ne andranno col vento e io sognerò di te, accanto al tuo corpo,
lungo il terrapieno all’ombra degli uliveti.
Tu sei puro e nulla varrà a distruggerti.
II
Il giorno è morto col mare. Il mio sogno di te è finito
sui fogli di carta e nulla so scrivere e nulla so inventare
all’infuori che tu esisti e vai su e giù lungo il viale dei tigli
pluricolorata dai neon e sorridi al ragazzo
che cammina al tuo fianco colmo di parole e di gioia,
e guardi la sera e come può contenerla il tuo corpo
marezzato di stelle o i tuoi occhi che hanno visto
come è bianco il mare e come tutto può somigliarti.
III
Tramonto.
I monti sono blu e gialli,
la terra ha suoni vitrei –
c’è una brezza di resina sui colli.
IV
Il flusso della danza e
e dei sorrisi –
i tuoi occhi sognanti nell’alba –
tu esisti come le cose più care.
V
L’adolescenza delle tue labbra e dei tuoi occhi
– roseto di sogni –
il tuo corpo rotolato nella follia dei sorrisi.
VI
Adolescenza del mare.
Adolescenza dell’alba.
Adolescenza bianca
Adolescenza rosa.
Arcobaleno d’amore.
VII
A me basta vederti.
L’alba d’autunno ha sognato
il tuo corpo sulla terra
nuda. Tu esisti.
A quest’ora ti alzi, ti lavi, ti specchi, pettini
i tuoi capelli, sei fresca.
Tu esisti come le cose chiare e
che hanno il sapore azzurro del mare:
ami ed esisti, profumo di resina,
conchiglia chiaroscura e canto,
ami ed esisti, effluvio di sogni,
batticuore, brividi,
ami ed esisti.
Ho sognato la tua vita in fondo alle cose:
lago d’infanzia,
roseto di primavera.
Ho sognato la tua vita: eco presente.
L’amore che ti porto
ha le forme di questo corpo di gioie.
VIII
Un giorno ho preso l’amore
sulle ginocchia –
ho guardato
un cielo di rondini –
ho dilatato
la gioia fino ai limiti del grido.
IX
Nessuno come lei
sa indossare un abito bianco
con merletti e portare
un toupet sul collo.
Nessuno come lei!
X
Mi sono disteso nella luce,
con lo sguardo rivolto all’ombra:
la luce era il cielo;
la terra, l’ombra.
Non ascolto più i sussulti del cuore.
Aderisco alla tua immagine aperta.
Solitudine chiara.
Dove c’era ombra, ora c’è luce.
XI
Ho contemplato le mutevoli scene dell’alba.
Ho ascoltato il risveglio delle cose.
Non domandarmi nulla.
Presta solo ascolto al brusio [voce] della luce quando la terra tace.
XII
Tutti i volti che irrompono sono i tuoi.
È il tumulto del cuore.
È l’abbraccio degli occhi.
È il girotondo delle mani.
Ti vedo.
Ti ascolto.
Ti penso.
Curvo sul cielo.
In vigile attesa sulla terra lieve.
Disteso nel tuo sogno.
XIII
E poi sei venuta
tu,
piena di sorrisi
e di giochi,
colma di fiori
e di gesti,
fragile come la carezza
sul viso.
XIV
Per incontrare la bellezza del tuo corpo d’amore
– la verità degli occhi e delle mani –
Per conoscere la dimora alla tenerezza,
ho rivestito di cristalli mirabili
le altitudini dell’aurora.
XV
Stupefatta la notte entrava nel giorno e
il giorno entrava nella notte- stupefatta
con l’urlo congelato alla gola.
Dèstati, amore: è l’ora.
Viviamo questo tempo che non è
né il giorno né la notte,
ma quello del sogno e della conoscenza.
XVI
Dammi
entrambi gli sguardi per cercarti,
entrambi in corpi per incontrarti,
entrambi i sessi per amarti –
balenio d’infinito.
Attraverso la luce dei corpi entrerò
nell’alba e nelle stagioni.
In tutti i posti conoscerò la bellezza.
XVII
Il fiume
accanto alle sue rive,
il volto
al suo avvenire,
l’eco
al suo grido.
Bisogna conoscere tutti i nomi
della bellezza
per entrare nel giorno,
nella luce,
nel Sole e
perdersi.
XIX
Creare il tempo e il luogo in cui conoscere l’azione dei miei occhi
e delle mie mani – per scoprire l’igiene della materia.
XX
Paesaggio invernale.
Il mio canto di te è un ritornello
a bocca chiusa.
TEMPO SECONDO
I
I miti dell’alba e del mare,
sonori dentro il plasma dei sogni.
La veglia interminabile dei nulla,
e il vento salino del mare
che si rifrange sulla nostra solitudine responsabile.
II
Quell’adolescenza favolosa – eccellente –
non era altro che un vuoto
dove tutte le cose urlavano
secondo ritmi prestabiliti.
III
La terra delle ferite –
un coro di albe che soffocano
colme di creta e di sterpi –
dolore della luce.
IV
E tutto ci lega
a nuove vite, a nuove nascite,
noi sterili maturazioni,
inetti [imbelli] portatori dei nostri corpi
fragili di agonia e disgusto.
V
I viaggi donchisciotteschi al di là degli orizzonti
come girotondi attorno alla tua vita.
VI
Crepuscolo.
Ecco il corpo di un giorno
fragile di dolore –
mi muovo e sconfino.
VII
Sera.
Neon di rumori o di musica –
solitudine dello stelo
che ti porta via.
VIII
Dentro il giorno.
Un coro di solitudine e di specchi,
un tempo di leggende,
lette sul
nulla.
IX
Mi sono disteso nell’alba d’aprile.
Nulla rifletteva la sonnolenza pomeridiana dei palazzi,
nulla equilibrava nello specchio la fronte dei salici,
nulla sfidava il pallore cristallizzato del cielo,
nulla mi tratteneva dal leggero scivolìo del vento.
Gli abiti andavano in giro con i corpi in bellezza,
le strade rotolavano contro la ruota dell’ora
(nel lavabo uno specchio si innamorava di Teresa),
dal mare il sole arriva ad un cuore debole.
Presso l’alba d’aprile intessuta di chiarità essenziali
vedevo che le cose non seguono il loro corso
e non sapevo morire – perché
non avevo confidenza con le cose che muoiono.
Non potevo vedere gli animali ammucchiati sulle strade
né inoltrarmi nel tessuto scavezzato del paesaggio –
ero filtrato da macabre [orribili] oscillazioni mentali [psichiche] e da ritmi immensi
e ingoiavo dolore da ogni lato e con tutti i sensi.
Alla fine non ne potevo più – mi dicevo:
«Puoi essere anche donna», e bevevo avidamente
il sangue di questa pienezza gravida di illuminazioni,
lontano dal giorno e dalla notte – prigioniero dell’alba.
Scivolavo in un fluire lirico di reintegrazione alla terra!
Mi eleggevo idolo e abbracciavo ogni successione elettiva.
Era disposto a tutto: alla terra al mare alla luce,
all’incontro decisivo con le vegetazioni calde e pure.
Nulla da fare – ero riflesso dal sogno delle cose,
mancavano le congiunzioni più elementari e stupide
e il veleno delle paludi mi penetrava sordamente –
fallivo per un’idiozia che sanguinava dalla pazienza.
Presso l’alba d’aprile il sole mi leccava come un cane malato
soffocandomi – ma non potevo morire
perché in realtà non sapevo nulla del mare – ignoravo
purtroppo come muoiono le più piccole cose.
X
L’eco del grido –
prigioniera nella conchiglia del ventre.
Le cose sono rumorose.
XI
L’amore nel suo disordine di avvenire –
che altro potevo sognare
nel mio volto?
XII
Come per gioco –
conoscere i nostri incanti e
i nostri terrori.
XIII
Hai gustato con me il sapore amaro
delle passeggiate – la violenza
dei volti alienati.
Che sarà di noi?
– Io non so nulla –
Io so
il vuoto,
la disfatta,
le ossa.
XIV
tam-tam dell’amore stroncato
tam-tam delle palpebre mute
tam-tam delle tenerezze sbagliate
tam-tam delle nudità laceranti
tam-tam delle paure ingoiate
tam-tam dei vuoti incolmabili
tam-tam delle tempia soffocate
tam-tam dell’adolescenza idiota
tam-tam del corpo solo nella sua follia
adolescenza idiota
mobilitata all’inerzia
(alla fine scoprirò l’immagine
che si nasconde dietro il volto delle vittime)
XV
l’amore nel suo disordine di avvenire –
che altro potevo sognare
nel mio volto?
XVI
ognuno vive la propria follia
la propria complicazione di morte –
tutto o niente –
chi più di noi ha accettato questo gioco?
XVII
Dentro
vetri di luce frantumi di conchiglie
il grido bianco del mare
m’abbaglia e sale invisibile
a ferire la mia anima di sabbia.
I volti dei miei scogli
nascono nel miracolo del vento
e annegati nei metalli del mare
– ora che barche vanno alla deriva –
scendono nel freddo e camminano nei gorghi.
Vado su chitarre d’acqua
– dove gli uomini imparano a perdere –
e il grido bianco del gabbiano
mi squarcia il sentimento in fuga
e mi svela il mistero delle sabbie.
(Scogli, vetri conchiglie – bianche
– sono impazzito della morte del mare
– bianca di sale).
XVIII
Canzonetta
sopra i fiori dei dolori
questa vita fa rumori
sopra i vuoti degli amori
ci son brividi e batticuori
della mia alienazione
non avete giustificazioni
adolescenza adolescenza
tutti i miti son deficienza
né amori né rivoluzioni
sempre senza conclusioni
né ordine né bellezza
è pura la mia stranezza
XIX
Contro le parole,
contro le cose,
contro di me,
contro di te.
Lei.
Lei avrebbe nominato tutte le cose
Con nomi nuovi.
XX
L’inverno terribile dei sogni,
lungo il viale dei platani.
Come siamo nudi –
noi –
la nostra immagine –
se non c’è passione o spazio.